Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. E Dio, che disse: "Rifulga la luce dalle tenebre", rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo.
Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. (2Cor 4,5-7)

venerdì 10 giugno 2011

10 giugno - festa del Beato Enrico da Bolzano (laico, venerato a Treviso)

Enrico era un operaio analfabeta, nato a Bolzano. Lavorò nel suo luogo di origine e, di ritorno da un pellegrinaggio a Roma con la moglie e il figlio Lorenzo, si stabilì vicino a Treviso.
Aveva preso dimora a Biancade, dove per vent'anni fece il boscaiolo e l'uomo di fatica. Ormai vecchio, mortagli la moglie, si recò nella vicina città di Treviso, dove visse abitando in una catapecchia in via Canova, messagli a disposizione da un notaio, e mendicando non per sé ma per i poveri della città: in particolare si impegnava con coraggio e costanza a strappare ai nobili e ai ricchi commercianti consistenti contributi per i più sfortunati. Il vescovo stesso e il signore della città (un da Camino) non gli ricusavano il loro aiuto. A Treviso, come già nella sua Bolzano, fu assiduo alla santa Messa e alla Comunione; pare che visitasse ogni giorno tutte le chiese della città, dormisse su un miserrimo giaciglio, portasse un ruvido saio, fosse dedito a estenuanti veglie di preghiera.
La tradizione attribuisce ad Enrico (“o vero o non vero che si fosse”, come dice il Boccaccio) l'intercessione per numerosi miracoli già da vivo, ma soprattutto dopo morto. Alla sua morte tutte le campane della città avrebbero iniziato a suonare insieme senza che nessuno le azionasse, tradizione citata anche da Gabriele D'Annunzio. Enrico divenne presto popolare in tutta l'Italia del Nord, dove gli vennero dedicati altari ed affreschi in molte chiese (per esempio Santa Toscana a Verona). A Treviso confluivano annualmente migliaia di pellegrini a lui devoti perché lo riconoscevano vicino ai poveri, ai mendicanti, agli emarginati.
Di lui, come detto, si hanno riferimenti già nel Decameron. Così Boccaccio (II giornata, novella I):
«Era, non è ancora lungo tempo passato, un tedesco a Trivigi chiamato Enrico, il quale, povero uomo essendo, di portar pesi a prezzo serviva chi il richiedeva; e con questo, uomo di santissima vita e di buona era tenuto da tutti. Per la qual cosa, o vero o non vero che si fosse, morendo egli, addivenne, secondo che i trevigiani affermano, che nell'ora della sua morte le campane della maggior chiesa di Trevigi tutte, senza essere da alcun tirate, cominciarono a sonare. Il che in luogo di miracolo avendo, questo Enrico esser santo dicevano tutti; e concorso tutto il popolo della città alla casa nella quale il corpo giacea, quello a guisa d'un corpo santo nella chiesa maggior ne portarono, menando quivi zoppi, attratti e ciechi ed altri di qualunque infermità o difetto impediti, quasi tutti dovessero dal toccamento di questo corpo divenir sani.»
Il corpo del beato Enrico è oggi conservato e venerato nella Cattedrale di Treviso, presso un altare laterale vicino all’ingresso, primo santo che accoglie i fedeli all’entrare in chiesa, compagno dei poveri, dei pellegrini, di quelli che siedono negli ultimi banchi e di quelli che entrano in chiesa per la "porta" della carità fraterna.

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